Turbopopulismo by Marco Revelli & Luca Telese
autore:Marco Revelli & Luca Telese [Revelli, Marco & Telese, Luca]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Political Science, Essays
ISBN: 9788828204121
Google: ag_ADwAAQBAJ
Amazon: B081ZB7FB4
editore: Solferino
pubblicato: 2019-11-20T23:00:00+00:00
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Un populismo senza popolo
Lo so, può sembrare un paradosso, ma è così. Questi populismi di ultima generazione «emergono» – nel senso che diventano una sorta di «emergenza politica» in un bel pezzo di Occidente – proprio nel momento in cui i popoli si dissolvono. Sono tutti, in qualche modo, dei «populismi senza popolo». Sono costretti a inventarsi, con un immane sforzo narrativo, un sottostante popolare – un «popolo», diciamolo – che non c’è. Ridotto com’è a una miriade di frammenti atomizzati e competitivi.
È accaduto tante volte nella storia. Dove sta la novità? In un bellissimo saggio di Eric Hobsbawm si ricorda che il kilt scozzese non è figlio dei clan del Medioevo ma un’invenzione dei nazionalisti romantici dell’Ottocento che, dovendo combattere i britannici, arrivano a inventare una tradizione per giustificare la loro battaglia politica.
Certo, si potrebbe dire che la cosa non è nuova. Che sempre i populismi, dalla fine dell’Ottocento in poi, hanno prodotto narrativamente il proprio popolo. E che il concetto stesso di popolo è una «costruzione» di qualcosa che non si dà, di per se stesso, in natura. Ce l’ha insegnato Ernesto Laclau che il popolo è sempre qualcosa di «costruito». E che l’essenza del politico sta, strutturalmente, nell’atto di costruzione del proprio popolo.
Ma adesso c’è qualcosa in più. Di più esteso e radicale. C’è davvero la riduzione di tutte le antiche aggregazioni sociali (classi, gruppi, ordini, ceti, comunità) a una moltitudine di individui reciprocamente ostili e diffidenti, refrattari a riconoscersi, ognuno, come parte di alcunché e incapaci di individuare un qualche «comune destino». Zygmunt Bauman l’ha chiamata «società liquida» individuando nella dinamica dei fluidi (quelli nel cui «stato» le molecole vedono allentarsi il legame che le aggrega a tal punto da perdere la capacità di assumere una qualsivoglia forma solida) la logica (perversa) del presente. Un trentennio e più di egemonia del paradigma che chiamiamo (per semplicità e con eccessiva semplificazione) neo-liberista non ha disgregato solo la società (cosa che già la signora Margaret Thatcher aveva preconizzato) ma ha cancellato il concetto di popolo. Ne ha reso impraticabile la riconoscibilità empirica. Potremmo dire che «non c’è più il popolo di una volta», ma non nel senso che – come è naturale – il popolo cambia ed è cambiato. Ma nel senso che è scomparso. Non se ne vedono più equivalenti funzionali.
Mi pare evidente che parli di un processo che è non solo politico, o addirittura pre-politico.
Forse, più che alla sociologia (che parla un linguaggio troppo da iniziati e che a volte, per eccesso di scientismo, è reticente) è alla letteratura e al cinema che dobbiamo guardare per ricostruire la fenomenologia di questo cambiamento che si è compiuto sotto i nostri piedi (non voglio dire sotto i nostri occhi che avevano altro da osservare) mentre credevamo di camminare ancora su un terreno solido e invece, come nel cartoon di Willy il Coyote e Beep Beep, stavamo sul vuoto.
Penso a un libro come XXI secolo, di Paolo Zardi, troppo poco considerato nella riflessione sul nostro stato di cose presente, e invece atrocemente rivelatore.
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